6 - Giannozzo Manetti a Vespasiano. [Firenze], [settembre-ottobre 1449].
Messer Gianozzo Manetti a Vespasiano salute.
Egli è più dì ch'io ricevetti una tua, alla quale non ho potuto prima fare risposta per molte et varie occhupationi publice di questa nostra benedecta città, le quali quanto più fuggho, tanto più a ghara mi corrono dietro. Et io vorrei pure in queste cose gratificare a Dio, al quale io sono certo che lle piacciono grandemente, et satisfare a me medesimo et al debito che mi pare avere verso la patria, poiché la m'ingenerò, che Idio gliel perdoni, ch'ella m'ha dato et dà et darà sempre bigha; et io ho facto, fo et farò durante la vita il contrario a llei sine intermissione, benché lui paia essere certo ch'io non abbi avere né altro grado né altro merito che l'usato. Pure nientedimeno io spero et confidomi nell'eterno giudice qui non mentitur, et retribuet unicuique secundum opera sua, et qui scrutatur corda et renes, Deus.
Et per questa cagione io vi metto tempo assai, per non lasciare alchuna cosa adietro che s'appartengha o alla degnità di qualunque magistrato io habbia, o a qualunche commissione mi sia facta. Et quando io mi trovavo degli Otto al tempo degli altri Priori, ne fe' parecchi pruove, peroché in verità in quel tempo l'ufficio nostro governava il tutto; et poi, al tempo de' presenti, ho avuto anchora circa all'ordinatione s'è presa de' facti del Comune pur delle brighe et noie assai. Et pertanto ti priegho m'ametta la schusa del non t'avere prima risposto.
Tu prendi scusa del non m'avere scripto prima, la quale in verità è molto gentile et è dirittamente oratoria. Et benché tu sia dotato di buono ingegno più che non si richiede all'arte et alla professione tua, credo nientedimeno che tu l'abbi presa più tosto dall'artificio che dalla natura: che mi piace assai, perché intendo che a un tracto tu faccia un viaggio et parecchi servigi, perché tu fuggi la morìa consolandoti cogli amici e 'mpari le cose gentili da cotesti gharzoni, che in verità sono una coppia la quale è, come dice el poeta, rara avis in terris nigroque simillima cigno. Preterea tu impari quell'arte che fa i suoi professori avanzano gli altri huomini. Hoc enim, ut inquit Cicero, prestamus vel maxime feris: quod loquimur inter nos et quod exprimere dicendo sensa possumus. Et alibi verba hec ponit: Ac mihi quidem videntur homines, cum multis rebus humiliores et infirmiores sint, hac re maxime bestiis prestare: quod loqui possint. Quare preclarum mihi quiddam videtur adeptus qui, qua re bestiis homines prestent, ea in re hominibus ipsis antecellat.
Siché io mi rallegro teco di tutte queste tue comodità, et prego Idio che te le conservi, accrescha et dìetene lungha consolatione; et te conforto a seguitare nel buono et laudabile proposito.
Tu di' non m'avere scripto benché n'avessi et voglia et desiderio solamente perché quando tu consideravi d'avere a scrivere ad me, il quale tu riputi sì docto et sì valente, che tu dubitavi non ti fusse imputato a presumptione lo scrivermi; et etiandio avevi sospecto di non satisfarmi nello scrivermi. Ad che ti rispondo che, ben ch'io cognoscha che questo sia un gentile colore rethorico, nientedimeno quando e' fusse come scrivi tu sai bene che noi siamo amici, et che la buona amicitia, quale io credo che sia la nostra non può essere nisi inter pares. Siché, quantunque per aventura io mi trovassi avere qualche prelatione più di te in genere eruditionis et doctrine, per rispecto nientedimeno della nostra amicita tra noi cape ogni cosa. Et se pur avessi quella opinione di me che tu scrivi che potrebbe essere più tosto per la grande et singulare affectione che tu m'hai portato et porti, che per altro rispecto te ne ringratio et rimàngotene assai obligato. Facis enim amice. Et basti quanto a questa parte.
All'altra dove tu mi richiedi che io t'avisi chi fu prima o Moysè o Homero, ti rispondo che, benché et della patria et de' tempi apunto
della natività d'Homero si diano varie et diverse opinioni degli scriptori greci et latini, nientedimeno egli è certo supputata temporum ratione, que quidem, ut inquit Hyeronimus, cronica historia continetur che Moysè fu assai prima che Homero, secondo qualunque opinione s'avesse de' tempi della sua natività. Et nota la ragione chiara che si trahe d'Eusebio De temporibus, il quale il trahe del libro del Genesi: Moysè nasce dopo la creatione de mondo anni circa 3600, a cuius quidem nativitate usque ad captivitatem Troie sono circa d'anni 410, perché la captività di Troia fu nel quattromiladieci a creatione mundi; et Homero nella su Yliade scrive de bello Troiano, de obsidione urbis et de eius captivitate,siché convenne che necessariamente e' fusse poi, quando come poeta simile allo historico ché in quel poema egli è mezo historico describit bellica Grecorum et Troianorum gesta. Necessario di sapere è adunche che Moysè fusse innanzi a Homero, et per questa cagione mi pare avere satisfacto alla tua richiesta.
Ma, se tu desiderassi quanto tempo la natività di Moysè precedesse quella d'Homero, ti dicho che questo è più difficile, per le varie et diverse opinioni che n'hanno gli scriptori, che forse non sono in minore numero che quegli che scrivono della patria sua, peroché non solo quegli de' quali fa mentione Tullio nella oratione Pro Archia poëta, ma etiandio septe città contendono della patria d'Homero. Et Tullio non fa mentione se non di quattro his verbis:
Homerum Colofonij civem esse dicunt suum, Chij suum vindicant, Salaminij repetunt, Smirnei vero suum esse confirmant; permulti alij preterea pugnant inter se atque contendunt. Et appresso a' Greci si truova la varietà di septe città, come io ho decto. Il Bocchaccio nelle sue Geneologie ne fa expressa mentione, et contale in questi due versiculi, tracti di non so che poeta greco: Samos, Smirne, Chios, Colofon, Pilos, Argos et Athene de Homeri patria, contendunt. Et perché tu possa considerare quale è maggiore o minore varietà degli scriptori o della patria o della natività sua, ti porrò inanzi le parole che scrive Eusebio in libro De temporibus, cuius hec verba sunt: Quodam commemini codicis loco Pyrrus Delphis in templo Apollinis ab Horeste occiditur proditione sacerdotis Macarei, quo tempore quidam Homerum fuisse dicunt. Et poco più giù anni circa di 50 scrive in questa forma: Anno mundi octuagesimo millesimo quarto - che nel 4080 Homerus, secundum quorundam opinionem, his fuisse temporibus vindicatur. Quanta vero de eo apud veteres dissonantia fuerit, manifestum esse poterit ex sequentibus. Quidam eum ante descensum Heraclidarum ponunt, Aristoteles post centesimum annum Troiane captivitatis, Aristarcus Jonica emigratione sive post annos centum, Phiheorus emigrationis Jonice tempore sub Arseippi Atheniensium magistratu et post captam Troiam anni centum octuaginta, Apollodorus Atheniensis post ducentesimumbquadragesimum annum eversionis Ylij. Extiterunt alij qui modico tempore antequam Olimpiades inciperent, quadringentesimo circiter Troiane captivitatis anno, eum fuisse putent, licet Archilocus vigesimatertia Olimpiade et quintum Troiane eversionis annum supputet.
Haec Eusebius. Ex quibus palam et aperte Moysem longe Homericae nativitatis tempora precessisse et non minorem forte diversorum opinionis veterum scriptorum varietatem de nativitate quam de patria sua extitisse colligitur. Peroché, se le predette septe città contendono tra lloro della patria d'Homero, similmente troverrai septe varie opinioni della sua natività, come di sopra manifestamente apparisce.
Hora io t'ho scripto in fretta et senza troppa consideratione, et però dubito di non t'avere così bene satisfacto come tu disiderresti. Imputalo alle occupationi, quibus undique tanquam molibus et obicibus quibusdam opprimor; sed Deus, ut spero, qui non deserit sperantes in se, adiutor erit in tribulationibus quae varie et omnifariam hinc inde circumferuntur. Et habbi patientia alla lunghezza della lettera, colla quale io ho voluto ristorare la tardità della risposta.
Vale et meo nomine meisque verbis plurimas salutes Jacobo, Petro et Donato precipuis et singularibus amicis et necessariis nostris dicito. Iterum vale et me ut soles ama.