32 - Vespasiano a Lorenzo de' Medici. Firenze, 24 marzo 1476

Clarissime atque eloquentissime Vir, post humilem recommendationem premissam etc.

Lorenzo, l'esserm'io allevato in chasa vostra per anni trenta cinque continovi chome credo che in buona parte vi sia noto - et sempre alla chasa vostra ho avuto ricorso in ogni mio bisognio, dalla quale ho sempre trovato favore nelle chose giuste et honeste; ora, non sendo voi qui, m'è occorso un chaso assai tristo, del quale io fo più conto che di chaso m'intervenissi mai da poi ch'io nacqui. Et questo è che uno Bartolomeo d'Antonio, il quale è stato in chasa nostra circha anni venticinque o più et nella sua morte il nostro fratello gli lasciò tanti beni che renderebbono duchati quaranta o più e lla tornata della chasa infino a tanto che togliessi moglie, che erano trenta o più, ora, pei suoi chattivi et non buoni costumi è circha a uno anno che io lo feci licenziare, che non fussi tanto ardito che tornassi più in chasa nostra, et s'egli aveva ragione di più una chosa che un'altra che lla dimandassi. Ora, sendo rimaste in chasa alchune sue chose, io gli feci dire da uno mio nipote che venissi per esse a sua posta. Risposegli che vi verrebbe quando gli paressi.

Adì 23 del presente, a hore 21, non sendo in chasa nostra altro che una schiava, venne con uno portatore et per forza entrò in chasa, et ispezò duo chasse, et chavonne quello gli parve et mandollo via. Di poi che l'ebbe fatto, andò a trovare uno degli Otto et dissegli che, se io v'andassì a dolermi, quello ch'egli aveva fatto, il quale mandò per me subito et dissemi quanto era seghuito. Andandone all'uficio degli Otto, quando furono raghunati tutti, et dolsimi della villania che m'era stata fatta, che era d'un chattivissimo exemplo, et che gli è lungho tempo che non fu fatta mai la maggior villania di questa in Firenze. Hanno dimostro che il chaso dispiaccia loro sommamente et factomi buona risposta.

Ora, perché io so quanto le chose malfatte et disoneste vi dispiacciono, delle quali questa è una, vi priegho che vi piaccia, per la singular fede et isperanza ho in voi, di far scrivere o in publicho o in particulare, chome parrà a voi meglio, al decto ufficio et racchomandarmi che delle chose giuste et honeste mi sia fatto ragione.

Faccendolo, chome ispero et credo, metterò questo appiè di molti oblighi che ho cholla chasa vostra. A voi mi rachomando quanto più posso.

In Firenze, adì 24 di marzo 1476.

Vespesiano di Filippo

[a tergo]

1476. Da Vespasiano. Adì 24 di marzo.

Clarissimo atque eloquen<tissim>o viro Lauren<tio d>e Medicis maiori <suo p>lurimum honorando.

Lettera 32

Originale, non autografa. Datata in stile fiorentino.

Lorenzo de' Medici

Per Lorenzo cfr. lettera 31.

"allevato in chasa vostra per anni trenta cinque continovi"

Evidentemente Vespasiano trascorse trentacinque anni in casa Medici, quindi presumibilmente dal 1440 circa. A conferma del legame con la famiglia.

"Bartolomeo d'Antonio"

Bartolomeo d'Antonio, detto "Baccino". Del 1468 è la morte di Jacopo, fratello di Vespasiano (cfr. infra nel testo); nella lunga malattia egli venne assistito da questo tale "Baccino", al quale Jacopo, nel testamento, per non ben chiare ragioni, non solo assicurò vitto e alloggio ma legò anche, a lui e ai discendenti, quattro case (per cui cfr. Cagni, Vespasiano, pp. 27-28). Dalla lettera vieniamo a sapere che "per i suoi non buoni chostumi" venne cacciato dalla casa di via de' Bardi e vi fece ritorno per danneggiare del mobilio e sottrarre delle suppellettili. Possiamo supporre che forse la cacciata sia ascrivibile al tentativo di Vespasiano di annullare i privilegi concessi al "Baccino" da Jacopo e tornare quindi in pieno possesso di un patrimonio consistente.

"nostro fratello"

Jacopo da Bisticci, fratello di Vespasiano.

"mio nipote"

Giovanfrancesco Mazinghi, figlio della sorella, figura importante per Vespasiano (cfr. lettera 35).

"Otto"

L'ufficio degli Otto di guardia fu istituito tra il 2 e il 4 settembre 1378 come magistratura straordinaria con compiti di sorveglianza e tutela della pubblica sicurezza all'indomani del colpo di mano che aveva annullato l'effimero regime creato dai Ciompi dopo il tumulto dell'agosto dello stesso anno. Trasformati quindi in organo stabile della Repubblica fiorentina con deliberazione del 21 gennaio 1380, gli Otto mantennero e anzi accrebbero la loro importanza con la riaffermazione e il progressivo accentuarsi, dal 1382, del dominio oligarchico.