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A Roma, intanto, era un precipitarsi a servitù di consoli, di senatori, di cavalieri.

Ognuno, quanto più altolocato, tanto più ipocritamente sollecito; con il volto ad arte composto, per non apparire lieti per la morte del principe, né troppo tristi mentre sorgeva il principe nuovo, mescolavano lacrime e gioia, compianto e adulazione.

XI.

Dopo di ciò le suppliche del Senato si riversarono su Tiberio.

Ed egli andava variamente discorrendo della grandezza dell'impero, della pochezza sua. Solo la mente del divo Augusto era capace di tanta mole. ⦿ Egli stesso, da lui chiamato a partecipare alle cure del governo, per propria esperienza aveva appreso quanto fosse arduo e rischioso sostenere tutto il peso.

Quindi, in un paese dove si poteva contare su tanti uomini eminenti, non si volesse conferire tutto il potere ad uno solo: più facilmente avrebbero più persone, riunendo i loro sforzi, provveduto alle cure dello Stato.

In tali discorsi vi era più ostentazione che sincerità.

In Tiberio, anche quando non volesse di proprio tener celato il proprio pensiero, o per natura o per abitudine, la parola era sempre riservata e oscura: ora che proprio tendeva a nascondere il suo pensiero, tanto più il suo dire si avviluppava nell'incerto e nell'ambiguo.